Dighe lago bianco

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Jaar
2008

Con A. Galfetti

Dighe Lago Bianco sul Bernina

La cultura architettonica contemporanea vorrebbe  che il progetto di una grande diga, come quella del Lago Bianco sul Bernina, sia svolto da un gruppo di lavoro interdisciplinare; ingegneri, geologhi, geografi, paesaggisti, architetti e tanti altri ancora, dovrebbero, sin dal’inizio, essere coinvolti in una riflessione sui grandi temi del rapporto tra costruzione e paesaggio, tra artificio e natura.

Ma come sovente capita per le grandi opere pubbliche, anche in questo caso, l’architetto è stato coinvolto quando le decisioni importanti erano già state prese sulla base di criteri essenzialmente tecnici. Quindi, tutto da rifare? L’esperienza dell’architetto Rino Tami per l’autostrada ticinese, quella del “gruppo di riflessione” per il tracciato dell’Alptransit Ticino, quella dell’architetto Flora Ruchat per l’autostrada giurassiana e la NEAT, dimostrano che, per l’architetto, anche quando il progetto inizia con premesse solo tecniche, esiste sempre uno spazio operativo per ricuperare i valori inizialmente dimenticati.

Normalmente, dall’architetto si vorrebbe un contributo tendente a ridurre, a contenere, a , come si dice,  “mitigare l’impatto”; le famose “opere di mitigazione”! Le parole ricorrenti, per definire il lavoro dell’architetto, sono integrazione e inserimento che comunemente sottintendono mimetizzazione, subordinazione, sottomissione della nuova opera a presunti maggior valori preesistenti. Ma la nostra società lascia appunto ampi spazi interstiziali per un diverso contributo dell’architetto.

Cosi, come sempre facciamo, anche per progetti di minor importanza, non abbiamo considerato i luoghi comuni dell’”integrazione” e abbiamo cercato invece di inventare una forma corrispondente a una precisa struttura, che esprimesse una pure precisa risposta al tema e al sito.

Crediamo infatti che un vero progetto architettonico sia sempre una sintesi tra una risposta a un tema e una risposta a un sito e che questa sintesi debba sempre avere il supporto di una struttura. Per ragioni diverse gli ingegneri avevano previsto la costruzione di una “diga a peso” che riprendeva la forma della diga esistente ad archi concavi. Quale poteva essere il contributo dell’architetto? Quello di dare continuità al lavoro dell’ingegnere rappresentando la sua scelta strutturale con un unico segno che meglio ne evidenziasse la natura.

Infatti, se l’arco concavo di cemento è l’espressione di un certo modo di resistere alla spinta dell’acqua, un altro arco, convesso e di altro materiale è l’espressione di un altro modo di resistere alla spinta dell’acqua. In sostanza un sistema statico costruttivo deve avere una sua precisa espressione che, se messa in relazione con un concetto altrettanto preciso di costruzione del paesaggio, può far sperare in una corretta soluzione dei problemi posti. In questo modo le discussioni sulla diga troppo alta, troppo lunga, troppo grigia, troppo artificiale ecc. perdono qualsiasi importanza e il lavoro dell’architetto diventa: la precisione della curva, la giusta pendenza, la natura dei raccordi tra artificio e natura.

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